Chiesa, voce che comunica…

Chiesa, voce che comunica…

17 Ottobre 2015 0 Di toniorollo

Qualcuno ha detto che la Verità va gridata dai tetti e che bisogna andare ad annunciare il Messaggio fino ai confini della terra, il che fa pensare che tutto il cristianesimo di basi sulla “parola”, sull’annuncio di una novità, di uno scoop. Ma il problema è: come avviene tutto ciò? parlare a chi? come? Il dubbio è: dall’altra parte c’è chi ha le famose “orecchie per intendere” o la nostra è l’altrettanto celebre “voce che grida nel deserto”?

Se ci si diverte ad uscire dall’ovile per vedere cosa viene fuori dalle crepe delle sagrestie verrebbe il dubbio che qualcosa non va. Non c’è comunicazione! Non va l’uso di un linguaggio che fuori del cerchio sacro fatto di eletti dice ben poco e, anzi, spesso viene frainteso. Proprio come succedeva nel primo secolo quando il linguaggio specifico o di nicchia dei cristiani veniva travisato dai romani che, sentendoli parlare, pensavano di avere di fronte più che dei santi una setta superstiziosa avvezza ad ogni genere di nefandezza, visto che mangiavano il corpo e il sangue di una persona, poi praticavano l’amore con tutti, perfino con i fratelli e le sorelle e che adoravano un bambinello. Allora, come riporta Tacito, c’era un problema di linguaggio, o meglio l’assenza di un codice condiviso tra chi comunicava e chi ascoltava. Oggi, in un periodo storico laicizzato, e quasi de-sacralizzato, dove i cristiani sono tornati ad essere minoranza e la società con la sua cultura dominante rischia di essere caratterizzata da un ritorno verso l’analfabetismo cristiano. In questo contesto comunicare con l’uomo di oggi è un problema della Chiesa, in parte mitigato dalla figura totalizzante di papa Francesco. L’uso continuo dell’ecclesialese fa pensare al latinorum di don Abbondio. Si parla una “lingua” che fuori “dice” ben poco o, peggio, rischia di essere travisata. All’interno del mondo ecclesiale si continua a parlarsi addosso con l’aggravante che il significato letterale e teologico dei termini si è perso nel buio dei tempi, nei manuali di teologia, o nei modi di dire arcaici. Quanti catechisti, per fare un esempio, quando hanno parlato del nuovo anno santo hanno dovuto faticare per spiegare che cosa significa “misericordia”? E così per termini come: grazia, carità, una… mission impossible! C’è stato un vescovo che nei giorni scorsi ha perfino invitato i padri sinodali ad adottare la… parresìa! All’interno dell’assemblea certamente tutti hanno compreso, ma visto l’interesse “non ovvio” intorno all’assise sinodale perché non approfittare per farsi capire anche fuori? Forse oggi servirebbe un nuovo Tertulliano che reinventasse un nuovo vocabolario che permetta di essere più immediati nella comunicazione, partendo perfino da termini pro-fani convertendoli a significati più sacri.

Ma non è solo un problema di termini “muti” all’uomo di oggi, c’è anche una incomunicabilità delle motivazioni profonde che stanno alla base dei valori cristiani. Si è preferito parlare di valori irrinunciabili dare ragione del perché lo fossero. In altre occasioni si è vestita la corazza del “è sempre stato così” senza spiegare perché e come si è arrivati a quella scelta storica. Per molto tempo c’è stata l’assolutizzazione di un pensiero teologico o pastorale di una scuola di pensiero senza tener ascoltare la voce delle altre scuole. E il Sinodo dei vescovi di questi giorni ce lo sta confermando. Chi guarda verso la Chiesa non sempre coglie quello che vuole dire sia perché è portata a semplificare dividendo tutto tra maggioranze e minoranze, sia perché pensa che sia regolata da anime che non le sono proprie, come confondere il Sinodo con un parlamento. Un esempio di questa confusione la si è potuta notare durante l’ultimo viaggio di papa Francesco in America, quando di fronte ai suoi riferimenti ai poveri, alla libertà (anche religiosa), alla difesa dell’ambiente, al diritto alla vita minacciata dalla pena di morte o dalla diffusione delle armi, c’è stato sia qualche cristiano integralista che si è stracciato le vesti, sia qualche laico ha pensato che il pontefice fosse diventato un miscredente. E qui la capacità comunicativa del papa che ha sintetizzato tutto in una battuta: “Volete che reciti il credo?” E questo solo perché il Magistero sociale si è dimenticato o non lo si è mai predicato.

C’è, inoltre, un problema di strumenti utilizzati per la comunicazione. È vero diocesi/parrocchie, congregazioni religiose e aggregazioni laicali hanno sempre investito energie e risorse nella comunicazione attraverso strumenti più o meno poveri come riviste, pubblicazioni, perfino radio parrocchiali e, ultimamente, reti televisive. L’impressione è che in molti casi il tutto non sia stato accompagnato da un progetto di qualità. Per lo più si tratta di esperienze che non hanno creato professionalità da spendere anche all’esterno. Molte sono sperimentazioni sono rivolte all’interno, per nicchie di fedeli che molto spesso sottovalutano o denigrano; tantissime di esse sono ignorate all’esterno… anche per temi e linguaggi che non interessano. Nel passato, dopo il convegno pastorale di Palermo, c’è stata la grande intuizione del Progetto Culturale, ma purtroppo non ha avuto la ricaduta sperata. Ironia della sorte nella ricerca per vederne le attività si nota nella home page del suo sito la presentazione di un convegno dal titolo interessante: Parlare dell’uomo all’uomo di oggi, segue incipit di un intervento introduttivo in perfetto ecclesialese. Chi ha orecchi…

 tonio rollo

(Pubblicato su “L’Ora del Salento” del 17.10.2015)