La barchetta Stria

La barchetta Stria

8 Gennaio 2020 0 Di toniorollo

C’era una volta, in un porto di una piccola cittadina schiacciata dal cielo infuocato da un bollente sole di agosto, una piccola barchetta a remi. La barchetta si chiamava Stria e apparteneva a due pescatori che, a costo di tanti sacrifici, erano riusciti a costruirla con le proprie mani per quando, una volta anziani, l’avrebbero utilizzata come bastone della loro vecchiaia, cioè per andare a pesca in quel mare che il tempo rendeva sempre più avaro e affollato. 

Stria molto spesso rimaneva sola a vedere i panfili, gli yacht, catamarani e barche a vela con altissimi alberi entrare e uscire dal porto carichi di progetti da realizzare e di sempre nuove esperienze ed avventure da raccontare nelle magiche notti invernali. Come li invidiava! Loro grandi, belli e grossi andavano in giro per i famosi sette mari ad incontrare le grandi navi che passavano continuamente dall’orizzonte lontano, solcavano le grandi onde degli oceani e raggiungevano quelle isole che aveva sentito descrivere dai vecchi lupi di mare. Lei, invece, era sempre ferma lì, in quel porto dimenticata da tutti e assalita dal peso della sua arrembante fantasia. 

L’unica cosa che poteva permettersi era viaggiare… nel mondo dei sogni. Anche i vecchi pescherecci che stavano accanto a lei la rassicuravano dicendole che sarebbe giunto anche il suo momento, il giorno in cui avrebbe avuto l’opportunità di uscire dalle stagnanti acque del porto. Ma lei non voleva dar retta ai quei vecchi gusci di noce che ormai a mala pena si reggevano oltre il livello di galleggiamento. Stria voleva viaggiare subito. Voleva uscire fuori dal porto e dimostrare la sua forza e il suo coraggio contro le armate di Nettuno. 

Ma c’era quella cordicella che la legava al molo e non gli permetteva di andare da nessuna parte. 

La considerava la sua dannazione. 

Se non ci fossi tu, brutta corda spelacchiata, andrei fino in capo al mondo ad incontrare quei galeoni che portavano coraggiosamente, con tutte le vele spiegate, i pirati della Tortuga all’arrembaggio di grandi tesori. Oppure andrei ad incrociare Pequod, la baleniera del capitano Achab, e saltare sul dorso di Moby Dick come se fosse un toro scatenato. Potrei accompagnare Peter Pan alla ricerca dell’Isola che non c’è ed guidarlo alla vittoria contro il Capitano Uncino

Oppure potrei raggiungere il Nautilus… o essere il veliero del Corsaro Nero… Oppure potrei essere il veliero sempre in viaggio raccontato nelle Cornache di Narnia. E perché… non potrei essere io ad assicurare la libertà ad Edmond Dantes, il famoso conte di Montecristo? Eh, se ci fossi stata io al posto del Titanic avrei trasformato l’iceberg in granita in un colpo solo. Ah, se non ci fossi tu, vecchia corda fradicia!” 

Ed invece era sempre ferma lì, in quel porto… banale. 

Con il passare dei giorni Stria si disperava. Le piccole onde che la facevamo fluttuare la rendevano più triste e sconsolata come in balia di una dondolante nenia notturna. Le stesse gocce d’acqua che le rigavano le fiancate sembravano tante sottili catene che la legavano a quell’immobile cieco mare del porto. 

Non ti preoccupare, le dicevano i vecchi pescherecci, verrà il giorno in cui anche tu potrai uscire da questo piccolo carcere marino e seguire la naturale scia per la quale sei stata voluta! Abbi pazienza… verrà il giorno!” 

Zitti voi! – rispondeva Stria, sempre più nervosa e insofferente. Che cosa ne puoi sapere tu Scilla, o tu Cariddi, vecchi tappi di sughero, che vi mantenete a galla solo perché neanche questo puzzolente fondale vi vuole. Ma statevene zitti e consolatevi con i vostri falsi ricordi! Io, sì, che non diventerò mai come voi!” 

Una notte che già si prospettava più tetra e solitaria del solito, Stria era lì a piangere e a lamentarsi più del solito dal momento che aveva visto pian piano uscire dal porto tutte festanti le barche più belle, mentre lei era rimasta sola con quei vecchi chiacchieroni di Scilla e Cariddi che di nuovo raccontavano di quando avevano doppiato Capo di Buona Speranza e Capo Horn. 

Chiacchiere! Sanno solo raccontare chiacchiere! Solo io sarei in grado di affrontare impassibile le onde dell’Oceano grandi quanto palazzi. Ma questa vecchia corda ingrata mi tiene legata qui. O me misera, me immensamente infelice…Come vorrei essere una grande nave con tre alti alberi e tantissime candide vele per poter diventare la più bella e invidiata di tutto il bacino del Mediterraneo” 

Mentre singhiozzando diceva queste cose, la Fatina Smemorina, che passeggiava sul molo per la solita passeggiata digestiva del dopo cena, ascoltò le sue parole e ne rimase colpita al punto che decise di fare la sua buona azione quotidiana esaudendone il desiderio. Quindi prese l’inseparabile bacchetta che teneva come segnalibro nella sua smemoranda, e disse la formula magica: 

Tempo immutabile, tempo crudele,
tempo tiranno, tempo fedele,
tu, che lentamente scorri,
accelera il tuo corso, ora corri!
Tu che indietro non ti volgi mai,
un lungo salto innanzi, son certa, lo farai.
I giorni e i mesi di questo mondo
passino adesso come un secondo,
non per tutti, ma solo per lei,
corri veloce come io vorrei.
Rendi grande e bella questa barca
come un dì disegnasti l’Arca.
Donale alberi, vele al vento,
e sia più forte di bastimento.
Dalle forza e un cuore saggio
bellezza, in mio omaggio.
Sia veloce sulle più alte onde
e possa unire le lontane sponde.
Fallo ora, affretta la tua corsa
e libera il suo cuor da questa morsa.” 

In quel preciso momento una fittissima nebbia circondò la sconcertata barchetta che la tolse alla vista di tutte le barche che si erano girate curiose a guardare la scena. Un silenzio irreale era calato su tutto il porto e tutto si era fermato, tutto era immobile. Perfino le onde sembravano aver bloccato il loro naturale corso. Era tornata la “grande notte”. La nebbia diventò sempre più fitta e sempre più grande fino ad avvolgere tutto il porto. Poi… una leggera brezza cominciò a ripulire l’aria e… più confusamente, poi sempre più chiaro, davanti agli occhi di tutti apparve qualcosa che nessuno avrebbe potuto mai immaginare. Una dorata polena con le fattezze della Venere che sorge dalle acque con sguardo fiero indica con un braccio teso l’orizzonte verso cui vuole andare. Poi, proprio sopra il braccio della statua venne fuori un diritto albero di bompresso sormontato da 3 vele triangolari che si alzavano verso l’albero di trinchetto lungo e forte, tale da reggere le sue sei vele quadre. Seguiva l’albero maestro più poderoso, maestoso e gonfio con la sua armatura di tela pronto a volare verso il cielo stellato se non fosse ancorato al ponte della nave da una fitta ragnatela di cime; e poi il terzo albero, quello di mezzana, subito avanti ad un quarto albero, quello di buonaventura. E di una “buona ventura” aveva bisogno la nostra “nuova” eroina. Tutta nuova; tutta grande; tutta diversa; tutta bella! Perfino sugli occhi della Fatina Smemorina fece capolino una lacrimuccia di soddisfazione. Aveva reso felice Stria! Poteva tornare contenta nel suo albero magico. Questa volta non aveva dimenticato nulla! Aveva fatto tutto e bene… 

Almeno pensava lei! Tutto sembrava perfetto! 

E poi lei, la nostra Stria, ancora non riusciva a riconoscere se stessa in tutte le sue parti. Tutti cominciarono ad imbarcare acqua per l’invidia; perfino il venticello vorticò su se stesso ed emise un fischio di stupore. Ma questo pur leggero turbinio provocò leggerissima increspatura sulla superficie del mare che lentamente attraversò tutto il porto e raggiunse la trasformata Stria. La grande Stria vedendo arrivare quelle ondine, dimenticandosi di essere ormai grande e grossa, cercò di spostarsi per paura di essere capovolta… del resto aveva sempre fatto così, visto che le avevano insegnato a prendere le onde di fronte e mai di lato. Purtroppo questo piccolo movimento istintivo ruppe il sottile filo di canapa che continuava a tenerla legata al molo. Ecco cosa aveva dimenticato Smemorina! Aveva cambiato Stria, ma non il filo di canapa che la legava al molo. 

E fu così che…